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Argilla di Impruneta

Se volessimo scoprire come si sono formate le argille che da sempre vengono utilizzate per la produzione del cotto, dovremmo andare molto lontano nel Tempo e nello Spazio. Il nostro viaggio comincerebbe duecento e passa milioni di anni fa, in mezzo a quello che oggi è il Mar Tirreno. Sul fondo dell'Oceano della Tetide, a migliaia di metri di profondità, con condizioni estreme di temperatura e pressione, dove si stavano accumulando i residui della disgregazione delle terre emerse circostanti. Piane costiere periodicamente invase dalle maree che bordavano l'area ad est e a sud caratterizzate da paesaggi molto simili alle aree tropicali odierne, con depositi calcarei ed evaporitici. Movimenti della crosta terrestre provocavano poi lacerazioni profonde attraverso le quali il magma poteva raggiungere la superficie del mare aumentando la temperatura dell'acqua e contribuendo a trasformare la natura delle rocce.
È ormai storia recente, poco più di venti milioni di anni fa, quando due lembi di crosta terrestre cominciarono a ruotare verso est fino a ortarsi dove ancora oggi si trovano la Corsica e la Sardegna.
Fu per questo che tutti i materiali accumulati in fondo al mare iniziarono a comprimersi formando blocchi e scaglie che si accavallarono per formare una nuova catena montuosa: stava nascendo l'Appennino. Ammassi di strati contorti vennero dislocati dalle enormi coltri di sedimenti plastici coinvolte nell'orogenesi. Furono terreni di questo genere e con questa genesi che formarono gran parte del nostro territorio condizionando a causa della loro stessa natura, la morfologia di ogni singolo versante e di ogni singola scarpata che da anni vengono studiati per cercare di comprendere la complessità degli eventi che si sono succeduti. Un'impresa veramente difficile quella dei geologi che intendono decifrare questo rompicapo, dovendo cercare di penetrare quello che oggi rimane e con difficoltà è possibile ancora vedere: masse rocciose scompaginate e disomogenee che, come dimostrano le frane e i terremoti ricorrenti, sono ancora in movimento. Si capisce bene perché fino a pochi anni fa queste unità geologiche venissero cartografate utilizzando definizioni vaghe e generiche come caotiche e indifferenziate a riprova del fatto di quanto fosse ardua la loro catalogazione.
Anche a livello microscopico è l'eterogeneità la caratteristica di questa argilla che viene ricavata dallo scavo e la frantumazione della roccia che può essere lavorata esclusivamente durante i mesi estivi, trattandola con cicli continui di soleggiamento e vagliatura. In questo modo i blocchi di pietra più voluminosi possono essere progressivamente rimossi affinando e disidratando sempre di più la materia prima per le lavorazioni in fornace. In questo modo l'argillite torna ad essere l'argilla che si depositava nel profondo dell'oceano più di duecento milioni di anni fa, arricchita però, dopo il lungo tragitto, dai minerali delle tante rocce che intanto si erano formate.
È evidente che è proprio questa differente genesi che produce la migliore qualità del prodotto finito attraverso le diverse trasformazioni fisiche e chimiche dei componenti minerali sotto l'effetto della temperatura, durante il passaggio da pezzo crudo a laterizio stabile. Può essere solo a causa della sua peculiare miscela mineralogica che il cotto assume le sue ben note peculiarità meccaniche che lo rendono inalterabile agli agenti atmosferici e all'abrasione, da sempre apprezzate e valorizzate per gli usi più disparati anche come materiale da costruzione.
L'area di produzione tipica del Ferrone con gli affioramenti continui di queste argilliti così particolari e la presenza di un corso d'acqua ricco come il Fiume Greve si è potuta sviluppare anche per altri elementi specifici di natura geografica e storica.
Già dal tempo dei romani il suo antico insediamento si trovava infatti lungo il tracciato della Cassia adrianea che confluendo nella Strada Volterrana, poteva consentire anche un rapido accesso verso Firenze. In particolare, fu proprio l'espansione di questa città e la crescita demografica ed economica delle sue campagne con le splendide ville del periodo rinascimentale che successivamente hanno rappresentato i presupposti per la crescita costante del settore a livello quantitativo e qualitativo.
Fu quasi inevitabile allora che perfino il Brunelleschi, interpellato riguardo alla fabbrica del Duomo di Firenze, si sia spinto fino sul crinale di San Giusto a Monterantoli per scoprire un marmo dal particolare colore rossastro che avrebbe abbellito la facciata di Santa Maria del Fiore. Probabilmente però non prima di aver visitato qualcuna delle fornaci lungo la Greve, a pochi chilometri di distanza da lì, per commissionare i mattoni e gli embrici per la copertura della sua splendida Cupola, che poi, avrebbe fatto realizzare sotto il suo diretto controllo. Allora ci si può azzardare a dire che la componente più importante che rende così speciale il cotto fiorentino è una componente immateriale come il tempo. Viene un senso di vertigine a pensare ai più di duecento milioni di anni che sono dovuti trascorrere perché tornassero in superficie i depositi accumulati in fondo all'oceano. È solo grazie a questo intermezzo lunghissimo che questi materiali si sono potuti arricchire e modificare nella loro mineralogia e petrografia. Ed è proprio grazie al tempo che si possono esaltare al massimo le qualità del cotto che attraverso il passaggio in fornace ritrova la natura e l'essenza delle rocce dalle quali deriva. Per verificare non è indispensabile andare sulla Cupola del Brunelleschi; dalle nostre parti, per fortuna, c'è ancora qualche rudere disabitato. È qui che si devono cercare i nostri mattoni e le nostre tegole, i vecchi vasi sull'uscio di casa, ancora più belli dopo decine di anni di abbandono, sotto la neve o sotto al sole, aspettano solo che il tempo passi.